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dai GIORNALI di OGGI

Obama: pronti a trattare con i Talebani

Nell'agenda di Feltman e Shapiro il Libano e la pace in Medio Oriente. Clinton: Obama in Turchia entro un mese

2009-03-08

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L'ARGOMENTO DI OGGI

 

CORRIERE della SERA

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2009-03-08

"Gli usa non stanno vincendo la guerra in Afghanistan.

Lì la situazione è difficile"

Obama: pronti a trattare con i Talebani

Il presidente Usa: copiamo la strategia irachena, dialogo con i più moderati per sconfiggere gli estremisti

NOTIZIE CORRELATE

Inviati Usa in Siria: "Vogliamo dialogo"

(7 marzo 2009)

Il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, in abiti informali sotto i portici della Casa Bianca (Ap)

Il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, in abiti informali sotto i portici della Casa Bianca (Ap)

MILANO - Gli Stati Uniti non stanno vincendo al guerra in Afghanistan e proprio per questo, per non restarvici impantanati, potrebbero puntare ad una strategia di negoziato con la parte meno intransigente del movimento talebano. Una strategia, questa, che si richiama a quella già sperimentata in Iraq, dove è stato aperto un canale di collaborazione con i sunniti. Ad annunciarla è stato lo stesso presidente americano, Barack Obama, in un'intervista al New York Timesrilasciata durante un trasferimento aereo a bordo dell'Air Force One, la Casa Bianca volante.

"MA IN AFGHANISTAN E' PEGGIO" - Obama ha ricordato quanto fatto in Iraq e sottolinea come "in Afghanistan e nelle zone pachistane vi possano essere opportunità analoghe". "Se chiedete al generale Petraeus (il comandante in capo delle truppe americane in Iraq, ndr) - ha detto Obama - spiegherebbe che una parte del successo conseguito in Iraq deriva dall’aver teso la mano a persone che considereremmo degli estremisti ma che erano disposte a collaborare con noi perché ostili alle tattiche di Al Qaeda". Il capo della Casa Bianca ha però ammesso che l’applicazione in Afghanistan della tattica irachena potrebbe non essere coronata dal medesimo successo: "La situazione in Afghanistan è, se possibile, ancora più complessa - ha sottolineato -: si tratta di una regione con minore struttura di governo con una storia di indipendenza dei clan. Clan numerosi e che a volte agiscono uno contro l’altro. Trovare il modo di riuscire sarà molto più difficile". Il compito più gravoso per le autorità militari appare in effetti identificare quali gruppi talebani possano essere sensibili ad una campagna di riconciliazione, senza contare che la stessa amministrazione Usa ha criticato il governo pachistano per la sua vicinanza alle milizie che agiscono nella valle di Swat, dove è stata imposta la sharia, la legge islamica più rigorosa.

TERRORISTI ALL'ESTERO - Obama ha infine lasciato la porta aperta ad operazioni di arresto di presunti terroristi all’estero, con o senza la cooperazione del Paese su cui sui trovino: "Potrebbero esservi delle situazioni - e sottolineo potrebbero, perché non abbiamo ancora preso alcuna decisione in merito - nelle quali potremmo trovarci ad esempio con un noto membro di Al Qaida che non esce spesso dalla clandestinità in un Paese con il quale non esiste estradizione o che non sarebbe disposto a processarlo. Dobbiamo ancora decidere come gestire uno scenario di questo tipo".

GLI USA E L'ISLAM - Nel frattempo il segretario di Stato americano, Hillary Clinton, ha reso noto da Ankara che proprio il presidente Obama visiterà la Turchia in aprile e potrebbe essere quella l'occasione per mantenere la promesssa fatta in campagna elettorale di pronunciare entro i primi cento giorni alla Casa Bianca un importante discorso di politica estera da una città del mondo islamico, con l'obiettivo di cambiare le relazioni tra gli Stati Uniti e i Paesi musulmani dopo le tensioni accumulatesi negli otto anni di presidenza Bush. In una conferenza stampa con il ministro degli esteri Ali Babacan, la Clinton ha detto che "non è stata ancora fissata una data precisa, per determinare la quale sono in corso consulazioni con il governo turco".

07 marzo 2009(ultima modifica: 08 marzo 2009)

 

 

 

 

 

 

primo approccio con il regime di assad

Inviati Usa in Siria: "Vogliamo dialogo"

Nell'agenda di Feltman e Shapiro il Libano e la pace in Medio Oriente. Clinton: Obama in Turchia entro un mese

Jeffrey Feltman (Ap)

DAMASCO (Siria) - Sono a Damasco Jeffrey Feltman e Daniel Shapiro, vice segretario di Stato ad interim per il Medio Oriente e membro del Consiglio per la Sicurezza nazionale Usa. I due inviati dal presidente Obama hanno il compito di prendere i primi contatti con le autorità siriane.

QUESTIONE LIBANESE - Prima di lasciare Beirut, dove venerdì hanno avuto colloqui con la leadership libanese, i due inviati hanno sottolineato che sarebbero arrivati in Siria "con una lunga lista di preoccupazioni" riguardo alla politica di Damasco. "La nostra missione è un'opportunità per iniziare ad affrontare queste preoccupazioni e usare questo dialogo per promuovere i nostri obiettivi nella regione - ha dichiarato Feltman -. Io porto ai siriani il messaggio che i libanesi devono decidere da soli il destino del proprio paese". Il diplomatico americano ha assicurato che la nuova politica non intaccherà la posizione di Washington sul Libano. E ha spiegato che il presidente Obama intende usare "il dialogo come strumento per far avanzare la nostra politica". Da Ankara il segretario di Stato Hillary Clinton ha annunciato che Barack Obama sarà fra circa un mese in Turchia.

07 marzo 2009

 

 

 

 

REPUBBLICA

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2009-03-08

Intervista al New York Times del presidente Usa

"Io socialista? Se il mercato funzionasse, sarei felice di starne fuori"

Obama: "I miei impegni: economia

e apertura ai Taliban moderati"

di HELENE COOPER e SHERYL GAY STOLBERG

Obama: "I miei impegni: economia e apertura ai Taliban moderati"

Presidente Obama, lei ha affermato che occorrerà parecchio tempo per uscire dall'attuale crisi economica. Può garantire agli americani che l'economia tornerà a crescere in estate? Oppure in autunno? O ancora alla fine di quest'anno?

"Credo che nessuno abbia la sfera di cristallo e possa azzardare previsioni. Stiamo vivendo un difficile processo di alleggerimento del debito nel settore finanziario, non soltanto qui negli Stati Uniti ma in tutto il mondo, e si tratta di qualcosa che ha ripercussioni enormi per la gente comune. Quello che era iniziato come un problema legato alle banche, ha portato a una forte contrazione del credito, che a sua volta ha implicato sia un calo della domanda dei consumatori, sia un calo della domanda da parte delle aziende. Pertanto, per risolvere le cose occorrerà sicuramente tempo".

"Il nostro compito consiste nel fare un paio di cose fondamentali: la prima è fare investimenti che permettano di "parare il colpo". Il nostro piano di intervento prevede varie misure per l'indennità di disoccupazione, tessere alimentari, aiuti ai vari Stati per non aggravare i licenziamenti. La seconda è rafforzare il sistema finanziario. Proprio questa settimana, a questo proposito abbiamo già approvato alcuni provvedimenti significativi, per esempio abbiamo aperto una linea di credito da mille miliardi di dollari. Ma bisognerà fare di più perché alcune banche zoppicano ancora: dobbiamo rafforzare il loro capitale e far sì che riprendano a erogare prestiti. Dobbiamo in ogni caso essere capaci di distinguere quali banche hanno problemi reali e quali invece hanno di fatto fondamenta solide. E poi occorre occuparsi del problema dell'industria automobilistica... E investire a lungo termine sulla crescita economica, puntando sull'energia, l'educazione e l'assistenza sanitaria".

Le sue prime sei settimane alla Casa Bianca hanno dato alla popolazione un'idea di quali sono le sue priorità di spesa. È davvero socialista, come molti hanno ipotizzato?

"Se dessimo un'occhiata al budget, la risposta sarebbe sicuramente no. A questo proposito potrebbe essere utile fare presente che non è stato durante il mio mandato che abbiamo iniziato a comprare ingenti quote degli istituti bancari. Né è stato durante il mio mandato che abbiamo approvato un nuovo piano di erogazione di farmaci che non richiedono la ricetta senza averne i fondi necessari. Prima che io mi insediassi alla presidenza che c'era già stata un'infusione enorme di soldi dei contribuenti nel sistema finanziario. Io cerco costantemente di far presente alla gente che se al momento del mio insediamento il mercato fosse stato in buone acque, nessuno sarebbe stato più felice di me di rimanerne al di fuori. Il fatto è che invece abbiamo dovuto prendere queste misure straordinarie e intervenire, non perché questa sia la mia propensione ideologica, ma per il grave livello al quale normative sempre più tolleranti e un'assurda propensione al rischio hanno portato le cose, facendo precipitare la crisi".

Passiamo alla politica estera. Attualmente è in corso una revisione completa della politica americana in Afghanistan. Ci può dire se ora come ora gli Stati Uniti stanno vincendo?

"Permettetemi di rispondere così: i nostri soldati stanno facendo un lavoro magnifico in una situazione davvero molto complessa. Ma abbiamo visto tutti come le condizioni in quel Paese si sono deteriorate nell'ultimo paio di anni. I Taliban sono ancora più prepotenti di quanto già non fossero. Nelle regioni meridionali del Paese attaccano come non hanno mai fatto in precedenza. Il governo nazionale non si è ancora saputo guadagnare la fiducia del popolo afgano. Pertanto sarà di cruciale importanza per noi non soltanto arrivare alle elezioni necessarie a stabilizzare la sicurezza, ma anche modificare la nostra politica così che i nostri obiettivi militari, diplomatici e miranti allo sviluppo siano configurati in modo tale che Al Qaeda e gli estremisti che vorrebbero colpirci non trovino in Afghanistan rifugio e protezione per potersi organizzare contro di noi. Al cuore della nuova politica per l'Afghanistan deve esserci una politica per il Pakistan più intelligente. Finché ci saranno per loro zone protette e veri e propri rifugi lungo le aree e le regioni di frontiera che il governo pachistano non può controllare o raggiungere in modo efficace, continueremo ad assistere a una forte vulnerabilità da parte degli afgani. Pertanto è di vitale importanza riuscire a far presa sul governo pachistano e collaborare con esso in modo più efficiente".

Pensa che potrebbe essere utile tendere una mano agli elementi più moderati dei Taliban per cercare di avviarli verso una riconciliazione?

"Non vorrei anticipare niente di quanto è attualmente in corso di verifica per ciò che concerne la politica in Afghanistan. Se pone questa stessa domanda al generale Petraeus, penso che lui sosterrà che parte del successo in Iraq consiste nell'essere riusciti a entrare in contatto con persone che potrebbero definire fondamentalisti islamici, ma che preferiscono lavorare con noi perché sono completamente estranee alle tattiche usate da Al Qaeda. Ebbene, in Afghanistan e in Pakistan potrebbero esserci opportunità analoghe. Ma la situazione in Afghanistan è ancora più complessa. Si tratta infatti di una regione dove i governi sono sempre stati deboli, con una storia tribale fatta di fiera indipendenza. Le tribù sono molte e spesso agiscono con finalità che si sovrappongono... Comprendere come vanno esattamente le cose è una vera e propria sfida".

Ancora una cosa: in tema di rapporti tra le razze condivide il fatto che (come ha detto il ministro della Giustizia Eric Holder, ndt) "siamo una nazione di codardi"?

"Penso che se avessi avuto modo di parlare al mio ministro della Giustizia, avrebbe usato un linguaggio diverso. Il punto che lui voleva sottolineare è che spesso nel nostro Paese proviamo una sorta di disagio a parlare di questioni che riguardano la questione razziale, e che potremmo essere più costruttivi se prendessimo atto fino in fondo del doloroso lascito della schiavitù e della legislazione segregazionista. Ma ci tengo ad aggiungere che abbiamo fatto anche moltissimi progressi, e non dovremmo dimenticarlo. Io non credo che parlare costantemente di questioni razziali sia granché di aiuto per risolvere il problema: questo si risolve rimettendo in sesto l'economia, rimettendo la popolazione al lavoro, assicurandoci che tutti abbiano un'assistenza sanitaria e che tutti i bambini frequentino la scuola. Se facessimo queste cose, probabilmente sapremmo discuterne più proficuamente".

Copyright The New York Times/La Repubblica. Traduzione di Anna Bissanti

(8 marzo 2009)

 

 

 

 

Il presidente afgano sostiene la possibilità di dialogo con i talebani moderati

lanciata dal presidente Usa in un'intervista al New York Times

Karzai approva la proposta di Obama

"E' da tempo la nostra posizione"

Karzai approva la proposta di Obama "E' da tempo la nostra posizione"

Il presidente afgano Hamid Karzai

KABUL - Il capo di stato afgano Hamid Karzai ha accolto positivamente oggi la dichiarazione del presidente Usa Barack Obama, in un'intervista al New York Times, su possibili trattative con i talebani moderati. "E' un'ottima notizia" che Obama "sostenga l'idea di trattative con i talebani che considera moderati", ha detto Karzai nel corso di una manifestazione a Kabul per la festa della donna.

"E' da tempo la posizione del governo afgano" ha aggiunto Karzai, aggiungendo di essere disposto a dialogare solo con i talebani che non sono affiliati ad Al Qaeda o ad altri gruppi terroristi. "Sono benvenuti solo quelli che combattono il loro paese perché sono costretti, perché sono poveri o per altre ragioni" ha concluso Karzai.

Obama aveva proposto già prima di diventare presidente il dialogo con i talebani moderati, e il mese scorso ha approvato lo spiegamento di 17.000 altri militari in Afghanistan, proprio per contribuire maggiormente alla stabilizzazione del Paese. Al momento in Afghanistan ci sono 70.000 militari stranieri sotto il comando della Nato e degli Stati Uniti.

Nelle zone tribali del Pakistan di Mohamad, al confine con l'Afghanistan, i ribelli talebani hanno ucciso stamani otto poliziotti pachistani, catturati ieri nel corso di scontri con le forze di sicurezza, nel corso dei quali erano stati uccisi 12 miliziani.

Mentre in Pakistan, le autorità hanno rilasciato 12 militanti talebani nel tentativo di consolidare un accordo di pace raggiunto il mese scorso con i fondamentalisti islamici pakistani nella valle dello Swat.

(8 marzo 2009)

 

 

 

A che punto è l'altra metà della terra

di HILLARY CLINTON

Durante un mio viaggio in Cina, undici anni fa, ebbi la possibilità di incontrare un gruppo di donne che mi parlarono del loro impegno per migliorare la condizione della donna nel loro Paese. Il loro racconto fu una vivida illustrazione delle sfide affrontate dalle donne. Discriminazione nel lavoro, inadeguatezza della sanità, violenza domestica, leggi antiquate che ostacolano il progresso delle donne. Ho rincontrato alcune di queste donne qualche settimana fa, durante la mia prima visita in Asia come Segretario di Stato. In questa occasione, mi hanno parlato dei progressi compiuti negli ultimi 10 anni. Eppure, nonostante qualche importante passo avanti, dal loro racconto emerge indubbio il fatto che gli ostacoli e le disuguaglianze permangono, come in molte altre parti del mondo.

Ho sentito storie simili alle loro in ogni continente, e in ogni continente le donne sono alla ricerca di opportunità per partecipare pienamente alla vita politica, economica e culturale del loro paese. L'8 marzo, celebrando la Giornata internazionale della donna, abbiamo l'opportunità di valutare sia i progressi compiuti sia le sfide posteci davanti e di riflettere sul ruolo vitale che le donne devono svolgere per contribuire a risolvere le complesse sfide globali del secolo XXI.

I problemi che oggi ci troviamo ad affrontare sono troppo grandi e troppo complessi per poter essere risolti senza la piena partecipazione delle donne. Rafforzare i diritti delle donne non è solo un obbligo morale continuo, bensì anche una necessità, ora che dobbiamo fare fronte a una crisi globale, alla diffusione del terrorismo e delle armi nucleari, ai conflitti regionali che minacciano la vita delle famiglie e delle comunità, al cambiamento climatico e ai pericoli che esso rappresenta per la salute e per la sicurezza degli abitanti del mondo.

Queste sfide ci costringono a mettere in gioco tutto ciò che abbiamo. Non le supereremo con le mezze misure. Ma ancora troppo spesso, su queste questioni e su tante altre, metà della popolazione del mondo è lasciata indietro.

Oggi le donne alla guida di governi, imprese e organizzazioni non governative sono più numerose che nelle generazioni precedenti. Tuttavia, questo dato positivo ha un'altra faccia. Le donne costituiscono ancora nel mondo la maggioranza della popolazione povera, malnutrita e senza istruzione. Sono ancora soggette agli stupri usati come arma tattica nelle guerre e ad essere vittime dei trafficanti di esseri umani in una impresa criminale globale da un miliardo di dollari.

Gli omicidi di onore, le mutilazioni, la mutilazione genitale femminile e altre pratiche violente e degradanti perpetrate contro le donne sono ancora tollerate in troppi luoghi del mondo. Solo pochi mesi fa, in Afghanistan, una giovane donna è stata aggredita mentre andava a scuola da uomini contrari al fatto che ricevesse una istruzione. L'acido gettatole sul volto le ha danneggiato la vista in maniera permanente, ma il tentativo di terrorizzare questa ragazza e la sua famiglia è fallito. La ragazza ha detto: "I miei genitori mi sostengono nella mia volontà di continuare a frequentare la scuola, anche se dovessi morire".

Il coraggio e la risolutezza di questa giovane donna dovrebbero ispirarci a tutti noi - donne e uomini - per dare il massimo dei nostri sforzi per garantire che alle ragazze e alle donne siano riconosciuti i diritti e le opportunità che meritano.

In particolare, posto che ci troviamo nel mezzo di una crisi finanziaria, è importante ricordare un dato che ricerche sempre più abbondanti dimostrano: il sostegno alle donne è un investimento ad alto rendimento, che produce come risultato economie più forti, società civili più vivaci, comunità più sane e una pace e una stabilità maggiori. Investire nelle donne è, inoltre, un modo di aiutare le generazioni future, perché le donne tendono a usare la maggior parte del loro reddito per cibo, medicine e istruzione per i loro figli.

Anche nei paesi avanzati, il potere economico delle donne è ancora lontano da una sua piena realizzazione. In molti paesi le donne continuano a guadagnare molto meno degli uomini pur svolgendo le stesse mansioni - un divario per colmare il quale, il presidente Obama ha fatto un passo avanti firmando la legge Lilly Ledbetter Fair Pay Act che rafforza le donne nella loro capacità di lottare contro la discriminazione nella retribuzione.

Alle donne deve essere data l'opportunità di lavorare in cambio di salari equi, di avere accesso al credito e di intraprendere attività. Le donne meritano l'uguaglianza nell'ambito politico, con pari opportunità sia nell'accedere alle urne elettorali sia nel rivolgersi ai propri governanti o presentarsi come candidato. E hanno il diritto di mandare i figli a scuola - i maschi e le femmine. Le donne hanno inoltre un ruolo vitale da svolgere nella conquista della pace e della stabilità in tutto il mondo. Nelle regioni lacerate dalla guerra, sono spesso le donne a trovare il modo di superare le differenze e di scoprire il terreno dove c'è comunità di interessi.

Nei miei viaggi nelle varie regioni del mondo in questo mio nuovo ruolo, terrò sempre presenti le donne che ho incontrato in ogni continente: donne che hanno lottato contro ostacoli straordinari per cambiare le leggi per poter possedere della proprietà, per avere diritto a sposarsi o a frequentare la scuola, per sostenere le loro famiglie e, persino, per adoperarsi per mantenere la pace.

Il mio impegno sarà quello di dare voce e di diffondere la lotta per questi diritti, lavorando con le mie controparti nelle altre nazioni, nonché con le organizzazioni non governative, con le imprese e con le singole persone per continuare a esercitare una pressione attorno a questi temi. Realizzare il pieno potenziale e la promessa delle donne e delle ragazze non è soltanto una questione di giustizia, ma è utile anche per rafforzare la pace, il progresso e la prosperità per le generazioni future in tutto il mondo.

Traduzione di Guiomar Parada

(8 marzo 2009)

 

 

 

 

 

 

L'UNITA'

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2009-03-08

Obama: "Per la pace in Afghanistan pronti a trattare con alcuni gruppi talebani"

Per pacificare l'Afghanistan, gli Stati Uniti sono pronti a trattare con alcuni gruppi di talebani, come fecero con i sunniti in Iraq. In un'intervista al 'New York Times', Barack Obama si è detto favorevole a questa ipotesi e ha ammesso che gli Usa non stanno vincendo la guerra nel paese asiatico.

"Se parlate con il generale (David, ndr.) Petraeus", ha osservato il capo della Casa Bianca, "penso che sosterrebbe che una parte del successo in Iraq abbia implicato il coinvolgimento di persone che noi considereremmo fondamentalisti islamici, ma che sono disposti a lavorare con noi perchè sono stati completamente allontanati dalle tattiche di al Qaeda in Iraq". Petraeus - a capo del Comando centrale Usa che ha la responsabilità di tutta l'area mediorientale, Iraq e Afghanistan compresi - fu l'artefice dell'apertura ai gruppi sunniti più moderati in funzione anti-al Qaeda quando era a capo delle forze armate Usa a Baghdad.

In Afghanistan, "la situazione è più complessa", ha precisato Obama, perché "ci sono meno regioni governate (dall'amministrazione centrale, ndr) e una storia di fiera indipendenza tra le tribù che sono molteplici e che a volte operano per ragioni differenti". "Tutto ciò sarà molto più di una sfida".

07 marzo 2009

 

 

 

 

 

il SOLE 24 ORE

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2009-03-08

 

 

 

 

 

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